SALUTI E RICORDI

un caro e sereno ricordo ai carissimi Amici
Lazzero Ricciotti e Orso Giacone Paolo
IL SALUTO A PAOLO
Caro Paolo,
Non ero a Cuorgnè quando ti sei arreso, non c'ero neppure poco tempo fa quando il Tuo Guido decise di andarsene.
La "prova" questa volta era insuperabile. Troppo grande; i genitori non dovrebbero sopravvivere ai propri figli. A Te non è stata risparmiata.
Posso, senza remora alcuna, testimoniare che Tu appartieni a quella manciata di Persone buone e oneste che ebbi la fortuna di incontare.
Un vero Cattolico Cristiano, esempio per tutti.
Modestia, umiltà e perdono. Portatore di una fede straordinaria che io non so raggiungere manco minimamente.
Resta il rammarico di averti conosciuto solo 14 anni fa.
Ricorderò qui in questo mio diario quei lontani e terribili giorni di fine estate 1944.
Un abbraccio...
Carla
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Orso Giacone Paolo aveva 17anni quando Amici Partigiani gli proposero di entrare tra le fila della VI Divisione Alpina Canavesana "Giustizia e Libertà". Paolo era un giovane di Pace, non avrebbe mai accettato di impugnare un'arma neppure per difendersi. Accettò invece di fare da guida per i sentieri Canavesani da Lui ben conosciuti. A fine Agosto caddero in un'imboscata tesa dai marò appartenenti alla XMAS. Paolo fu fermato mentre gli altri riuscirono a fuggire. Da quel momento iniziò la tortura. A quei delinquenti non importava nè che fosse giovane nè che fosse disarmato. Lo spoglarono ed iniziarono a frustralo. Ogni frustata veniva accompagnata dal nome di un "eroe" decimino caduto. Frustate trasversali al petto che impressero una X. Anno dopo anno quel segno sbiadiva, ma non sbiadìirono il dolore interiore e l'umiliazione subita.
Dopo il "giusto" trattamento fu condotto alla Caserma Pinelli di Cuorgnè sede della X, in precedenza delle SS Italiane e poi della Divisione Alpina Monte Rosa. Un luogo di torture. Pochi erano i partigiani intrattenuti, il "popolo" era formato prevalentemente da genitori, nonni, fratelli ed ogni parente, colleghi di lavoro, compagni di scuola o semplici vicini di casa di Partigiani alla macchia. Intrattenuti li a suon di botte e con scarso cibo , affinchè tradissero il loro caro, costretti a dormire in terra sulla paglia e in promiscuità.
Paolo passò sotto le mani di un paio di boxer, uno di nome Schininà e uno Marinelli. Non mancò il frustino fatto di nerbo di bue del tenente Bertozzi Umberto, capo dell'Ufficio Operativo ed Informativo di polizia della X. Dopo ore di strazio fu tradotto al piano superiore e scaraventato in un'enorme stanzone vuoto e buio pesto. Quando rinvenne pian piano si abituò a quelle tenebre. Al suo orecchio giungeva un sottile e rantolante lamento. Cercò a carponi. Infine si imbattè in un'ammasso di carne e stracci. Cercò il volto...non avrebbe riconosciuto manco se stesso. Un'enorme testa tumefatta, al posto degli occhi due fori, la bocca serrata. Abitudine di Bertozzi era : aprire la porta all'improvviso e sparare nel buio. Paolo non seppe mai chi fosse quel poveretto, quando e se lo portarono via prima di lui. Era calato il silenzio. Dopo alcuni giorni fu fatto scendere. Cibo poco e niente (venne poi a sapere che la sua Mamma, così come parenti di altri prigionieri, si recavano ogni giorno portando qualcosa, che fine facevano quelle derrate?...sarebbe un'altra storia). Paolo fu "ospite" della Pinelli per 17 giorni. Era la metà di Settembre del 1944, tempo di fichi. Un paio di giorni prima del rilascio fu avvicinato, in cortile, dal Sergente della Gestapo Joseph Gross. Subdola persona da sempre al seguito della X con l'incarico di "interprete", ovviamente ne era il controllore. Disse al giovane che lui era dispiaciuto dai metodi con cui i decimini trattavano i prigionieri e gli offrì dei fichi.
Paolo rifiutò.
" Carla, avevo una fame boia, mi costò ma non accettai. Gli risposi di tenersi la sua compassione e i suoi fichi. Avevo capito che quel gesto non era di generosità o pietà, nascondeva un progetto ben preciso quello di garantirsi testimoni discolpanti a cose finite...."..
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Paolo appartiene a tanti Donne e Uomini Civili e Partigiani Piemontesi che mi scelsero come confidente dei loro trascorsi dolorosi, cosa che prima non avevano mai concesso a nessuno. Mi vergogno di non aver avuto la forza di scrivere in modo preciso definitivo e corretto le loro storie. Ripagarli per la fiducia concessami. Il materiale c'è. Qualcuno prima o poi lo riprenderà in mano. Confesso che non so più scrivere come una volta...me ne accorgo dalle bozze di allora o quando rileggo gli articoli pubblicati.
La storia di Paolo non la troverete nel libro di Ricciotti. E' riportata nel bel pezzo teatrale di Renato Sarti: MAI MORTI.
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AL MIO PROFESSORE RICCIOTTI
CaroProfessore,
il Suo sogno non realizzato di incontare un ricercatore del Tridentino affinchè svolgesse ricerche come feci io per il Canavese: ESISTE.
Lo so da ieri.
E' un giovane 33enne di Maniago. Mi ha contattato via Blog e mail. Ho già dato delle "dritte". Sono veramente felice.
Un abbraccio
Carla
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